Roberto Vallini
Le mostre / Exhibitions
27 Novembre - 23 dicembre 2017
Radici e Gioielli
Roberto Vallini e Marcello Vallini
C’è sempre un punto di partenza. Il viaggio verso un traguardo. Il viaggio della vita. L’albero della vita. Le sue radici. E le radici di Roberto Vallini. L’immagine del padre nel cortile della casa di montagna che lavora le radici. Questo ricordo è pieno d’amore ed è forte e deciso come un’incisione perché rappresenta l’inizio di una storia, iscrive le ragioni di una esistenza in un raccordo fra passato e presente avvalendosi dunque di simboli: l’albero, le radici. Le nostre radici.
Ma c’è un simbolismo che viaggia lungo un asse che deve tutto o quasi alla realtà. Esattamente come un padre o una madre o una città o un paese sono frutto di radici e a loro volta ne chiedono la prosecuzione e, al tempo stesso, ne impongono la realtà. È allora che la fatica del lavoro di Roberto si avvince alle emozioni più profonde scoprendo un altro amore, quello per il legno e le sue forme.
Perché non c’è soltanto il lavoro dell’estrazione, esattamente come nella vita professionale di Roberto così ricca di successi professionali, di scelte impegnative, di sfide, di confronti, di nuovi inizi che, per chi lo conosce, non sono mai stati una ragione di quiete ma, al contrario, una spinta verso nuovi traguardi. Cosicché il divenire di una radice dopo la sua estrazione e pulitura si trasforma e si modella in emozioni artistiche accese anche dalla curiosità per la riuscita di una nuova acquisizione, anche questa nel segno della poesia e della storia.
E si ritorna all’albero più simbolico di tutti, l’albero della vita le cui radici racchiudono e annunciano già quella storia che nell’emozione di chi le fa emergere e le modella come sculture, racchiude lo spirito delle scoperte, lo stupore di una creazione, l’essenza di una vicenda che è bensì personale ma anche comune, di tutti noi. La nostra gratitudine per Roberto sta in questa sua conquista, dapprima interiore poi via via regalata agli altri, e della quale ci fa partecipi avvalendosi, dopo la fatica del lavoro di svelamento, di una immagine d’arte universale come è, per l’appunto, l’albero inteso come un augurio per una vita costruita su solide radici. Le radici, le sue, le nostre.
Paolo Pillitteri
Ma c’è un simbolismo che viaggia lungo un asse che deve tutto o quasi alla realtà. Esattamente come un padre o una madre o una città o un paese sono frutto di radici e a loro volta ne chiedono la prosecuzione e, al tempo stesso, ne impongono la realtà. È allora che la fatica del lavoro di Roberto si avvince alle emozioni più profonde scoprendo un altro amore, quello per il legno e le sue forme.
Perché non c’è soltanto il lavoro dell’estrazione, esattamente come nella vita professionale di Roberto così ricca di successi professionali, di scelte impegnative, di sfide, di confronti, di nuovi inizi che, per chi lo conosce, non sono mai stati una ragione di quiete ma, al contrario, una spinta verso nuovi traguardi. Cosicché il divenire di una radice dopo la sua estrazione e pulitura si trasforma e si modella in emozioni artistiche accese anche dalla curiosità per la riuscita di una nuova acquisizione, anche questa nel segno della poesia e della storia.
E si ritorna all’albero più simbolico di tutti, l’albero della vita le cui radici racchiudono e annunciano già quella storia che nell’emozione di chi le fa emergere e le modella come sculture, racchiude lo spirito delle scoperte, lo stupore di una creazione, l’essenza di una vicenda che è bensì personale ma anche comune, di tutti noi. La nostra gratitudine per Roberto sta in questa sua conquista, dapprima interiore poi via via regalata agli altri, e della quale ci fa partecipi avvalendosi, dopo la fatica del lavoro di svelamento, di una immagine d’arte universale come è, per l’appunto, l’albero inteso come un augurio per una vita costruita su solide radici. Le radici, le sue, le nostre.
Paolo Pillitteri
Il vernissage
La rassegna stampa
Venerdì 18 Novembre 2016
Radici. Forme nascoste della natura.
Ritroviamo, in questa nuova “uscita” di Roberto Vallini la stessa puntuale attenzione nei confronti dell’ambiente, della natura, la stessa “curiosa creatività” e il desiderio, comunque, d’intervenire, che caratterizza la sua poetica e il suo fare.
Così, continua a ricercare e a rielaborare, sempre con semplici strumenti, quelle parti dei vegetali che hanno avuto l’indispensabile compito di assorbire sostanze,minerali e acqua… finché la parte aerea ha vissuto, ma ce le propone in un altro racconto.
Le sue ”radici”- e piace quasi avvalersi dell’ambiguità di questo termine -, non sono più solo quelle di/in Casale Corte Cerro (fra il Monte Cerano e il Mottarone, nelle Alpi Pennine che lo hanno affascinato ed avvicinato a questi particolari naturfatti disseminati sul terreno e che proprio la natura ha già in parte “lavorato”: radici di castagno autoctono o di infestante robinia… Né solo quelle, particolari, “a fuso” dei cipresseti di Castellina, in Chianti….
Roberto, ormai, va a caccia di questi curiosi ed intriganti “organismi”, non sempre sotterranei, dovunque lo portino i suoi viaggi, repertando quasi quelle delle diverse specie arboree che caratterizzano i diversi luoghi che ha modo di conoscere: ecco allora radici “fresche” di ciliegio e di lentischio ma anche tronchi di glicine, ceppi svuotati o legni già lavorati dal mare. Raccolti in Grecia, sulle spiagge di Milos e di Sifnos… su quelle di San Francisco e sulle rive dell’Hudson (e siamo negli Stati Uniti); e, ancora, su rive ancor più esotiche: di Nosy Be’ in Madagascar (le radici di quegli straordinari Ylang Ylang dai quali si ricava quell’essenza che permane quasi anche nei lacerti abbandonati sulla battigia); di Lanikai nelle Hawaii… di Hshuaia (la città più meridionale del mondo, in Argentina: e non ci si può non domandare da dove arrivino questi consumati legni).
Ora, dopo aver portato questi piccoli/grandi “reperti” in laboratorio, abolite le parti marcescenti, ed arrivato, “a forza di togliere”, ad una “sintesi della radice”, lavorata poi con cere, lucidi e opachi a valorizzare concavità ed aggetti, sempre rispettando la forma che emerge, sottolineandone le venature ed accondiscendendo ai segreti profumi, Roberto ce li propone in sempre armonici insiemi ma non più tridimensionali.
Non più solo scultore, dunque. Impagina così le “sue” forme, sempre dall’affascinante linguaggio astratto, in geometriche tele su cui interviene con campiture dalle più adatte cromie per sottolinearne le qualità materiche e formali: anche questi “apparati radicali” raccontano, a chi sa “guardare”, fiabeschi paesaggi e suggeriscono inaspettate immagini, antropomorfe o zoomorfe.
E ci ritorna alla mente il flessuoso collo di volatile - una cicogna bianca? – riproposto da una scheggia di radice di Acacia, ritrovata nel Parco di Serengeti, in Tanzania. Roberto non volermene per questa “attribuzione”/descrizione!!! D’altro canto è una tua “scelta” che l’interpretazione sia affidata a chi guarda e la titolazione demandata al fruitore, ponendoti così in una poetica posizione acritica, nella tensione di dare un’autonoma espressività ad ogni pezzo, come hai sempre sottolineato.
Ad un anno di distanza, ci si trova allora davanti a “nuove”radici: ancora dall’inaspettata dimensione poetica ma soprattutto a nuovi, intriganti racconti.
Lasciato il suo ruolo di impegnato giornalista, la penna, la macchina per scrivere, il computer, il medium televisivo eccolo riproporsi, felicemente, in veste di affabulatore: le sue mani – la mente e il cuore, la sua sensibilità dunque – al servizio di una “personale” comunicazione. Per tutti,grazie ad una materia legnosa, a naturfatti, che diventano grazie a lui dei manufatti: testimoni, con nuova vita e profumi, ancora, di quell’albero che sorreggevano.
Anty Pansera
Così, continua a ricercare e a rielaborare, sempre con semplici strumenti, quelle parti dei vegetali che hanno avuto l’indispensabile compito di assorbire sostanze,minerali e acqua… finché la parte aerea ha vissuto, ma ce le propone in un altro racconto.
Le sue ”radici”- e piace quasi avvalersi dell’ambiguità di questo termine -, non sono più solo quelle di/in Casale Corte Cerro (fra il Monte Cerano e il Mottarone, nelle Alpi Pennine che lo hanno affascinato ed avvicinato a questi particolari naturfatti disseminati sul terreno e che proprio la natura ha già in parte “lavorato”: radici di castagno autoctono o di infestante robinia… Né solo quelle, particolari, “a fuso” dei cipresseti di Castellina, in Chianti….
Roberto, ormai, va a caccia di questi curiosi ed intriganti “organismi”, non sempre sotterranei, dovunque lo portino i suoi viaggi, repertando quasi quelle delle diverse specie arboree che caratterizzano i diversi luoghi che ha modo di conoscere: ecco allora radici “fresche” di ciliegio e di lentischio ma anche tronchi di glicine, ceppi svuotati o legni già lavorati dal mare. Raccolti in Grecia, sulle spiagge di Milos e di Sifnos… su quelle di San Francisco e sulle rive dell’Hudson (e siamo negli Stati Uniti); e, ancora, su rive ancor più esotiche: di Nosy Be’ in Madagascar (le radici di quegli straordinari Ylang Ylang dai quali si ricava quell’essenza che permane quasi anche nei lacerti abbandonati sulla battigia); di Lanikai nelle Hawaii… di Hshuaia (la città più meridionale del mondo, in Argentina: e non ci si può non domandare da dove arrivino questi consumati legni).
Ora, dopo aver portato questi piccoli/grandi “reperti” in laboratorio, abolite le parti marcescenti, ed arrivato, “a forza di togliere”, ad una “sintesi della radice”, lavorata poi con cere, lucidi e opachi a valorizzare concavità ed aggetti, sempre rispettando la forma che emerge, sottolineandone le venature ed accondiscendendo ai segreti profumi, Roberto ce li propone in sempre armonici insiemi ma non più tridimensionali.
Non più solo scultore, dunque. Impagina così le “sue” forme, sempre dall’affascinante linguaggio astratto, in geometriche tele su cui interviene con campiture dalle più adatte cromie per sottolinearne le qualità materiche e formali: anche questi “apparati radicali” raccontano, a chi sa “guardare”, fiabeschi paesaggi e suggeriscono inaspettate immagini, antropomorfe o zoomorfe.
E ci ritorna alla mente il flessuoso collo di volatile - una cicogna bianca? – riproposto da una scheggia di radice di Acacia, ritrovata nel Parco di Serengeti, in Tanzania. Roberto non volermene per questa “attribuzione”/descrizione!!! D’altro canto è una tua “scelta” che l’interpretazione sia affidata a chi guarda e la titolazione demandata al fruitore, ponendoti così in una poetica posizione acritica, nella tensione di dare un’autonoma espressività ad ogni pezzo, come hai sempre sottolineato.
Ad un anno di distanza, ci si trova allora davanti a “nuove”radici: ancora dall’inaspettata dimensione poetica ma soprattutto a nuovi, intriganti racconti.
Lasciato il suo ruolo di impegnato giornalista, la penna, la macchina per scrivere, il computer, il medium televisivo eccolo riproporsi, felicemente, in veste di affabulatore: le sue mani – la mente e il cuore, la sua sensibilità dunque – al servizio di una “personale” comunicazione. Per tutti,grazie ad una materia legnosa, a naturfatti, che diventano grazie a lui dei manufatti: testimoni, con nuova vita e profumi, ancora, di quell’albero che sorreggevano.
Anty Pansera
Il vernissage
15-21 Ottobre 2015
Radici. Forme nascoste della natura.
Una grande attenzione verso il circostante e soprattutto verso la natura ma forse sarebbe meglio dire una curiosa “creatività” e soprattutto, il desiderio, comunque, d’intervenire: è nel DNA di Roberto, forse, che si può individuare un nuovo corso, da qualche tempo, del suo “fare”. Già il padre, Agenore, infatti, nell’ultimo scorcio della sua vita, aveva iniziato, con dei semplici strumenti, a rielaborare quelle radici della Val d’Ossola che avevano catturato il suo interesse.
Particolari “manufatti” che erano stati conservati con affetto ma che, ad un certo punto, hanno iniziato a suscitare/imporre quasi, diverse riflessioni. E un nuovo impegno: arrivare a una “sintesi della radice”.
Dalla rossa cromia, per lo più, per la natura ferrosa che viene assorbita: e si lavora di cere, naturali o pigmentate (per una miglior conservazione ma non solo), lucidi e opachi a succedersi – olio di gomito! -, per valorizzarne concavità ed aggetti, rispettando la forma che emerge, e lì fermandosi, sottolineandone le venature e accondiscendendo ai profumi che continuano a diffondersi.
Ma non più, solo radici di castagno e di robinia: ecco tronchi di glicine, ceppi svuotati o legni già lavorati dal mare (come per un particolare “Cristo re”, individuato e raccolto su una spiaggia in America del Sud, “pulito” e “scaturito” solo appiattendo un nodo). E, ancora, ecco quelle più fresche: di ciliegio e di lentischio dell’Elba, che gli amici gli portano e sottopongono, da ogni dove…
Le forme che assumono le radici degli alberi, “organizzate” in fasci più o meno regolari, hanno davvero, spesso, dell’incredibile: nei diversi terreni hanno dovuto immergersi per ogni dove per assicurare nutrimento al tronco, per farlo svettare verso l’alto, vincendo la forza di gravità, superando ogni ostacolo per permettergli di “mettersi in contatto con il cielo”, come poeticamente si è scritto. Gli apparati radicali, più prosaicamente, propongono spesso non solo, quasi, un’immagine speculare della parte aerea, e suggeriscono, a chi sa guardare, inaspettate immagini, zoomorfe, antropomorfe… all’insegna di un affascinante vocabolario astratto. Certo, risultato del suo paziente fare sono figure di immaginari e fiabeschi paesaggi, animali preistorici ma soprattutto armonici “insiemi” che emergono dopo tanto, o poco lavoro: un’interpretazione però che si affida a chi guarda, la titolazione demandata al fruitore. Lo “scultore”, per scelta, si pone in una posizione acritica, nella tensione di dare un’autonoma espressività a ogni pezzo. Incuriosisce comunque molto, credo, e prova un’inaspettata fascinazione chi si trova davanti a queste “radici” da un’imprevedibile dimensione poetica e ai nuovi, intriganti racconti che queste forme spontanee ci propongono: grazie a un loro “libero” contatto con le percezioni, la mente e le mani di un Roberto che abbiamo conosciuto soprattutto in altre vesti (di attento giornalista, in particolare), non di “elaboratore” di radici. A perdurare, però, proprio il suo impegno e soprattutto la sua sensibilità, qui al servizio di una materia legnosa, dalle particolari striature materiche e sfumature cromatiche alla quale ridà nuova vita e profumo, a testimoniare, ancora, quell’albero che sorreggevano.
E possiamo, da qui, “traslare” qualche altra riflessione, su queste sue nuove radici?
Anty Pansera, un’amica…
Particolari “manufatti” che erano stati conservati con affetto ma che, ad un certo punto, hanno iniziato a suscitare/imporre quasi, diverse riflessioni. E un nuovo impegno: arrivare a una “sintesi della radice”.
Dalla rossa cromia, per lo più, per la natura ferrosa che viene assorbita: e si lavora di cere, naturali o pigmentate (per una miglior conservazione ma non solo), lucidi e opachi a succedersi – olio di gomito! -, per valorizzarne concavità ed aggetti, rispettando la forma che emerge, e lì fermandosi, sottolineandone le venature e accondiscendendo ai profumi che continuano a diffondersi.
Ma non più, solo radici di castagno e di robinia: ecco tronchi di glicine, ceppi svuotati o legni già lavorati dal mare (come per un particolare “Cristo re”, individuato e raccolto su una spiaggia in America del Sud, “pulito” e “scaturito” solo appiattendo un nodo). E, ancora, ecco quelle più fresche: di ciliegio e di lentischio dell’Elba, che gli amici gli portano e sottopongono, da ogni dove…
Le forme che assumono le radici degli alberi, “organizzate” in fasci più o meno regolari, hanno davvero, spesso, dell’incredibile: nei diversi terreni hanno dovuto immergersi per ogni dove per assicurare nutrimento al tronco, per farlo svettare verso l’alto, vincendo la forza di gravità, superando ogni ostacolo per permettergli di “mettersi in contatto con il cielo”, come poeticamente si è scritto. Gli apparati radicali, più prosaicamente, propongono spesso non solo, quasi, un’immagine speculare della parte aerea, e suggeriscono, a chi sa guardare, inaspettate immagini, zoomorfe, antropomorfe… all’insegna di un affascinante vocabolario astratto. Certo, risultato del suo paziente fare sono figure di immaginari e fiabeschi paesaggi, animali preistorici ma soprattutto armonici “insiemi” che emergono dopo tanto, o poco lavoro: un’interpretazione però che si affida a chi guarda, la titolazione demandata al fruitore. Lo “scultore”, per scelta, si pone in una posizione acritica, nella tensione di dare un’autonoma espressività a ogni pezzo. Incuriosisce comunque molto, credo, e prova un’inaspettata fascinazione chi si trova davanti a queste “radici” da un’imprevedibile dimensione poetica e ai nuovi, intriganti racconti che queste forme spontanee ci propongono: grazie a un loro “libero” contatto con le percezioni, la mente e le mani di un Roberto che abbiamo conosciuto soprattutto in altre vesti (di attento giornalista, in particolare), non di “elaboratore” di radici. A perdurare, però, proprio il suo impegno e soprattutto la sua sensibilità, qui al servizio di una materia legnosa, dalle particolari striature materiche e sfumature cromatiche alla quale ridà nuova vita e profumo, a testimoniare, ancora, quell’albero che sorreggevano.
E possiamo, da qui, “traslare” qualche altra riflessione, su queste sue nuove radici?
Anty Pansera, un’amica…